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Logica gender applicata allattivit di mangiare, con un c

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     Essendo stato costretto dalla natura matrigna, che mi ha impreziosito di una silhouette tra il bisonte americano e il rinoceronte indiano, a mantenere il digiuno (uposatha fisiatrico) di Sabato e Domenica mezzogiorno, oggi, entrato in cucina, in estremo conflitto tra il mio desiderio di catarsi gastrica e il desiderio di mangiare un asino brasato, noto Ambra – il tenero cerbiatto, con due occhi scuri scuri e dolci, che Dio o Allah o Geova hanno sganciato sulle mie macerie- mangiare, con un cucchiaione di legno, direttamente dalla pentola, seduta, a tavola, davanti al Pc. Alla mia mente devastata dall’inedia si sono dischiusi due scenari: a] mangiare il cerbiatto e b] certificare l’esistenza ontologica di una differenza di logica gender sull’attività di mangiare direttamente col mestolo da una casseruola. Escluso l’atto criminoso del cannibalismo cerbiattesco e malamente scivolato sullo stigma adolescenziale dell’incaponimento verso un accostamento «logico» alla vita (causa di vittimizzazione collaterale da mancanza di «ignoranza», indispensabile a una vita gratificante nell’odierna società dello star system), inizio a riflettere sull’opportunità d’esistenza d’una «logica» gender applicata all’attività di mangiare con un cucchiaio direttamente dal tegame. Prospettiva gender uomo: a] un uomo mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «l’uomo ha molta fame e molta fretta»; b] una donna mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «la donna ha molta fame e molta fretta». La «logica» gender dell’uomo è uni-dimensionale, utilizzando sempre - a detta della donna- 10 cm delle aree cerebrali di stretta competenza. Prospettiva gender donna: a] un uomo mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «l’uomo è una bestia, incapace di adattarsi alle norme minime del savoir vivre»; b] una donna mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «la donna è pratica, dovendo scappare al lavoro e non avendo il tempo di lavare piatti e posate». La «logica» gender della donna è bi-dimensionale, discriminando, correttamente, in un magnifico sistema olistico, tra bestialità dell’uomo e pragmaticità della donna davanti ad un medesimo oggetto di studio antropologico. Prospettiva gender madre: a] un uomo mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «l’uomo è una bestia, incapace di adattarsi alle norme minime del savoir vivre e la fidanzata / moglie / compagna dell’uomo una malafemmena baldracconesca, incapace di assumersi il ruolo di cura insito nella figura di fidanzata / moglie / compagna» (riassumendo: figlio deficiente e nuora inadeguata); b] una donna mangia con un cucchiaio direttamente dal tegame: «la donna è sciatta, dal momento che “[…] io, quando venticinque anni fa lavoravo in fabbrica diciannove ore al giorno, durante l’orario di lavoro: cucinavo, stiravo, lavavo, curavo tre figli (anche se madri di figli unici), li accompagnavo all’asilo, e, contemporaneamente, li ritiravo, e a mio marito, incapace di preparare la tavola, non mancavano mai piatti e posate… T’el disi mi, l’è ‘na slandruna […]». La «logica» gender della madre è fuzzy, incriminando, universalmente, deficienza del figlio, bestialità del marito e inadeguatezza della malcapitata nuora. Prospettiva gender padre: statisticamente irrilevante, essendo mai richiesta. Quindi, concludendo, segnalo tre categorie di accostamento «logico» gender: a] la «logica» gender dell’uomo è uni-dimensionale; b] la «logica» gender della donna è bi-dimensionale e c] la «logica» gender di una mamma è fuzzy. Padri naturali e/o adottivi non hanno diritto a una «logica» gender. Spiego, nei minimi dettagli, questa mia teoria logico-sociale a Ambra che, col cucchiaione da minestra in bocca, mi risponde candida: «È inutile. Non ti do niente: sei grosso e devi applicare, al dettaglio, la famigerata dieta Birkenmaier, essendo tu avvelenato da glutine, grano, latticini, carni, animali marini, crostacei, sughi, caseina, fruttosio, saccarosio, monosaccaridi e monoinsaccati, carboidrati, glicidi, saponidi e plastiche industriali. Quando uscirai dalla rehab, mangerai!». E i suoi dolci occhioni neri che fanno trasparire tutta la sua amorevole cura verso di me, mi chiudono lo stomaco, mi fanno dimenticare la fame e mi fanno sorridere ebete.

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